È uomo di poche parole, Simone Cristicchi, ma di molte note. Lo abbiamo visto al firma-copie della Feltrinelli martedì scorso dove ha preferito presentarsi senza giornalisti. «Era più semplice raccontarmi con la mia chitarra e la mia voce», dice, e poi dal suo quaderno, legge una delle sue poesie, da cui trae i testi delle sue canzoni.
Anche se confessa che trova difficile scrivere canzoni d’amore, Cristicchi definisce Abbi cura di me, con cui ha partecipato alla 69° edizione del Festival di Sanremo, «una preghiera d’Amore universale, una disarmante richiesta d’aiuto», cui noi vogliamo dare la nostra personalissima interpretazione.
A implorare è l’anima, la scintilla divina che custodisci nel cuore, che troppo spesso nella razza umana rimane inascoltata. Dal libro storico della Genesi si legge che Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, e per farlo dovette innestargli una parte di sé, un soffio di vita, una scintilla divina, appunto, perché potessimo avere tutti una parte nostra cui rivolgerci, da interpellare e in cui cercare le risposte in modo diretto dalla fonte, senza dover dipendere da qualcosa di esterno che medi e interpreti, e che non brilla tanto quanto.
Il segreto della felicità sta tutto lì, intrinsecamente avvinghiato alla sua sorgente divina. Per questo Cristicchi ti ammonisce: tu non cercare la felicità, semmai proteggila. Perché già ce l’hai. È dentro di te. E’ stata sepolta da miliardi di vite e sovrastrutture sociali e artificiali, millenni di storia, relazioni, conflitti, perdite e vie senza ritorno, ma è sempre lì che aspetta di essere riconosciuta, da dissotterrare, recuperare e proteggere: Più che perle di saggezza sono sassi di miniera che ho scavato a fondo a mani nude in una vita intera.
E allora, se scavi, la felicità la trovi, perché è già parte di te dalle origini. “Credo che il compito di ogni essere umano”, ci recita Simone, “sia dare alla luce se stesso e che la vita è resurrezione. È togliere le condizioni che ci tengono rinchiusi dentro un sepolcro”.
È sufficiente uscire dalla prigione che ti sei cucito addosso, abbandonare l’ego e la vanità, luci opache di un mondo che falsamente abbaglia, e seguire l’amore che ti cambia dentro; basta mettersi al fianco invece di stare al centro.
Nella sua poesia lo esprime così: «Nessuno può farti sentire felice, così come io non sono responsabile della felicità altrui, e solo quando si smette di salvare gli altri, quando smetti di essere la madre o il padre che non hanno mai avuto, solo allora puoi veramente amarli abbastanza da lasciarli andare, perché il vero amore ha il profumo della libertà».
Per raggiungere il paradiso, si sa, bisogna attraversare l’inferno, perché è solo comprendendo l’origine del tuo dolore, osservandolo e assumendoti le responsabilità delle azioni scorrette che anche involontariamente hai commesso, che ridai linfa d’amore alla tua parte migliore e vitale: Attraversa il tuo dolore, arrivaci fino in fondo, anche se sarà pesante come sollevare il mondo, e ti accorgerai che il tunnel è soltanto un ponte e ti basta solo un passo per andare oltre. Proprio perché a volte puoi scoprire che il dolore che senti, alla fine non ti appartiene, e allora oltre, ci vai anche più volentieri.
Per questo l’arma più potente contro il dolore diventa il perdono. Perdonare gli altri ma soprattutto se stessi, anche per la cosa che consideriamo più tremenda, per aver distrutto qualcosa che non si può più recuperare. Ognuno combatte la propria battaglia, tu abbandonati a tutto, non giudicare chi sbaglia; perdona chi ti ha ferito, abbraccialo adesso, perché l’impresa più grande è perdonare se stesso. Perché quando ci si trova soli e disarmati di fronte alle macerie che abbiamo contribuito a creare, se proprio non si può più rimediare, l’unica via di scampo che ci rimane è il perdono, e trovare una via di salvezza attraverso il riscatto. E l’anima lo sa cosa fare per riscattarsi, se si accetta di ascoltarla invece di seguire l’abbandono a solo inutilmente soffrire. Accettando di solo soffrire si uccide l’anima, la nostra parte divina che è depositaria della nostra felicità, e la seppelliamo sotto un altro strato invece di liberarla dal suo sepolcro.
Invece, ti immagini se cominciassimo a volare tra le montagne e il mare. La felicità si libererebbe finalmente, come le crisalidi che diventeranno farfalle. E farfalle le crisalidi diventeranno, perché se a questo Festival di Sanremo una canzone così elevata ed evoluta spiritualmente, non poteva vincere perché ancora molte anime erano ancora seppellite nel loro sepolcro ed erano poche ad ascoltarla, oggi l’anima ha l’opportunità di vincere la sua battaglia.
È vero, Abbi cura di me è una preghiera di amore universale, una disarmante richiesta di aiuto, perché Simone fa parlare l’anima universale che si rivolge a tutti nella speranza di convincere l’essere umano ad ascoltare la voce della propria coscienza, dell’amore, di quella scintilla divina che tutti abbiamo nel cuore. Perché se frantumiamo, strato dopo strato, tutto ciò che compone il nostro sepolcro, riscopriamo e ritroviamo la nostra felicità, espressione della nostra scintilla divina che ti implora: Abbi cura di me! Sono la tua anima, Abbi cura di me. Fino all’ultimo giorno in cui potrò respirare, tu stringimi forte e non lasciarmi andare. Abbi cura di me!
“Ho cantato una canzone che in qualche modo era il mio manifesto, il mio mettermi a nudo di fronte a milioni di persone, dove c’è tutto il mio mondo”, ci confessa Simone, “e infatti la prima volta che la cantavo era lì (ndr. a Sanremo) e mi tremavano le gambe in maniera vistosa”. E quindi grazie, Simone, per aver tremato e averci scosso dal nostro torpore per ricordarcelo. Ricordarcelo era doveroso, come doveroso è che noi ora ci prendiamo cura di Lei.
(*) I pezzi in corsivo sono estratti dalla canzone “Abbi cura di me” cantata da Simone Cristicchi.
Simona Valesi