Ci fu un tempo in cui l’arte era il linguaggio principe per ascoltare e parlare con il sublime. Ciò che non si poteva dire con le parole, cioè dove le parole non riuscivano ad arrivare, veniva espresso dall’arte con il suo linguaggio visivo, sensoriale, esente dalla razionalità e privo delle complicazioni della mente, che portava il messaggio a un livello più alto e che, in un modo non spiegabile razionalmente, arrivava a destinazione.
Non è, infatti, la razionalità che ti fa comprendere se sei di fronte a un capolavoro, e neanche la sua bellezza estetica, ma solo il percepire che c’è un’essenza spirituale che impregna ogni grammo della materia di cui è composta l’opera d’arte che stai guardando. Bellezza e tecnica non sono sufficienti a fare un’opera d’arte. Attraverso le forme, i colori, la densità della materia utilizzata, deve arrivare vivo l’animo dell’artista, che ti parla dall’alto della sua creatività e ti trasmette il messaggio che ha da dire al mondo e che ha espresso con la sua opera. Solo se l’arte ti parla e tu rimani ammaliato nell’ascolto, allora sei davanti a un capolavoro. Esattamente come ci racconta Massimo Angotti, artista emergente che vuole ridare all’arte il suo ruolo di strumento di comunicazione divina:
“Come quando ho visto i Bronzi di Riace, sono rimasto molto colpito dall’alone di comunicazione che andava oltre la materia. Quelle sculture avevano un’aura particolare , avevano dentro una bellezza e una sorta di divinità con un concetto di regola aurica di armonia”.
Da quel tempo puro, molte cose sono cambiate e alcuni critici hanno razionalizzato l’arte dandoci delle ragioni logiche per cui ci doveva piacere un’opera piuttosto che un’altra, e così facendo sono riusciti a farci digerire le peggiori produzioni come espressione d’arte. Massimo Angotti si è dato l’arduo compito di non cedere a questo mercanteggio d’arte riportando il sublime nel linguaggio artistico e volendo lasciare ai posteri il messaggio che l’arte deve essere interpretata come canale di contatto con il proprio sé divino.
“Per me l’arte è lo strumento per collegarsi alla parte divina, e se l’artista è capace di collegarsi ad essa gli permette di esprimersi attraverso di sé e allo stesso tempo permette alla persona che osserva l’arte di collegarsi anch’essa alla sua parte divina. E questo è anche un modo per elevare l’essere umano a una condizione più evoluta”.
Da bambino Massimo osservava il padre dipingere e aveva come delle reminiscenze di un passato da pittore che non ricordava consciamente. Da ragazzo, con i primi disegni fatti a scuola, si convince di non poter essere un pittore perché non poteva essere come un grande del passato: Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Canova e gli scultori greci.
“Mi sono fermato all’idea che non ero all’altezza dei grandi pittori perché credevo che un pittore doveva nascere già fatto e finito, e non avrebbe dovuto avere la necessità di imparare niente, altrimenti significava che non aveva abbastanza talento. Non capivo che anche i grandi avevano studiato in bottega prima di diventare grandi, e non mi sono messo a fare quello che sentivo di avere in testa perché non mi reputavo in grado di renderlo perfetto”.
Dal dipingere sulla carta della sua esperienza scolastica passa alla sua prima tela frequentando i corsi del Maestro Raffaello Ossola. Dopo il blocco iniziale porta a termine il suo primo dipinto su tela e si rende conto che non era vero che non era all’altezza e, afferma, “dopo il mio primo quadro mi sono sbloccato e sono cambiato. È diventato per me un percorso spirituale”.
Parlando delle sue fonti d’ispirazione continua: “C’è una serie di artisti come Michelangelo e Leonardo da Vinci che sono riusciti ad esprimere il sublime in modi differenti. Michelangelo ha fatto ricerca tutta la sua vita per esprimere il suo concetto di divino, che è evidente in tutti i suoi lavori. Lui mi ha fatto capire a cosa possono arrivare gli umani nella loro manifestazione del divino. Anche Leonardo ha perseguito questa ricerca. Non c’è nulla di suo che non faccia intravedere il suo genio. Anche la bellezza dei suoi visi è ultraterrena. Entrambi seguivano scuole esoteriche. Nella Creazione di Adamo della Cappella Sistina, Dio è avvolto da un manto che rappresenta il cervello e il braccio di dio parte dal terzo occhio. L’affresco è pieno di simbologie che rivelano concetti che non potevano essere espressi in maniera manifesta”.
Angotti ha una sua certezza: “Non siamo soltanto la materia del corpo e degli oggetti che possediamo, ma siamo molto di più. Seguo un percorso spirituale da trent’anni con Fiorella Rustici e nei miei quadri esprimo quello che vivo e comprendo attraverso questo percorso spirituale contemporaneo. Se non avessi fatto il percorso con lei non sarei stato in grado di dipingere quello che sto dipingendo oggi. Io voglio esprimere la ricerca costante di questa comunione con la mia parte divina. Fare arte di base è un atto d’amore per me e per le persone che avranno a che fare con la mia arte. ”
Se osserviamo l’olio su tela Tra cielo e terra, notiamo che la figura maschile, un nudo dipinto nei dettagli dove è molto definita la materia e la fisicità del corpo, ha allo stesso tempo un’aura, un canale aperto nel terzo occhio ed energia pranica che gli esce dalle mani. E con questi dettagli Angotti vuole esprimere che noi siamo molto di più di quello che crediamo di essere.
Anche il maestoso leone de La lunga attesa, presentato al museo Tadini di Milano, è avvolto da un’aura dorata ed è collegato col terzo occhio in uno scenario onirico. Il cielo è di un’altra dimensione, mentre il cielo della nostra dimensione si vede riflesso dentro l’acqua come se fosse lo specchio della dimensione umana davanti a cui il leone sta aspettando qualcuno di molto caro che aspetta da molto tempo.
“I miei quadri non sono mai un’espressione pura mentale ma sono sempre la conseguenza di quello che io vivo nella mia vita. Il leone è ritratto in un’altra dimensione ed è collegato a una divinità in un cielo superiore, che aspetta un essere che si è assentato. Io sono nato nel segno del leone e quando vedo il leone vedo la rappresentanza di una forza ed energia molto attiva e dinamica. Regale. In questo caso è una regalità dei mondi superiori astrali”.
Con Traccia Antica riproduce una parte della Cappella Sistina di Michelangelo ed esprime un paesaggio della nostra mentre collettiva creato da un artista che ha costantemente ricercato il collegamento con il divino e non si è mai accontentato. Ti stavo aspettando, è invece una storia: ci sono dei cristalli che sono dei portali da cui è uscita una figura umana che si sta dirigendo verso un essere evoluto che rappresenta un collegamento con dei mondi superiori. “Non rappresenta niente di più che un’altra possibilità di esistenza. Noi siamo abituati a vedere la vita con gli occhi da essere umani, ma gli scienziati dicono che l’universo ha diversi universi paralleli”, ci racconta Massimo.
“Il mio quadro preferito è quello che devo ancora fare. Un quadro da solo non è sufficiente ad esprimere quello che io sono. Sia io sia la mia produzione artistica siamo costantemente in cambiamento. Per me un’opera d’arte riuscita contiene un’anima che ha in sé un messaggio, che è lo scopo di migliorare la vita delle persone. Quello che sto cercando di fare con la mia arte è di lasciare un messaggio che vada oltre me con ciò che ho compreso nella mia vita e che possa essere di aiuto anche per le generazioni future. Per questo vivo l’arte come un atto d’amore, ed è la cosa che mi da più gioia. Il mio messaggio di base è che noi siamo molto di più che le bollette da pagare e la partita di calcio ed è un peccato che le persone si limitino a vivere la loro vita in questi concetti. Quello cui tengo è arrivare alla fine della mia vita è poter dire che non è stata una vita inutile perché sono riuscito a dare agli altri quello che ho vissuto, che è poi la mia anima”.
Oggi l’arte è vista come un investimento ma l’arte ha sempre avuto una funzione soprattutto di connessione con la parte divina evolutiva. Per questo auguriamo a Massimo il successo nel dare il suo contributo a restituire all’arte il suo ruolo di linguaggio dell’anima.
Simona Valesi