Più mediti, più gli osservatori esterni, guardandoti in faccia, pensano che tu sia meno nevrotico, più coscienzioso e consapevole. Insomma, una persona con cui si possono stabilire rapporti senza molti problemi.

E’ il verdetto di uno studio della University of Wisconsin-Madison, effettuato su meditatori abituali (da almeno 3 anni) e persone che non avevano mai meditato. Che cosa hanno fatto i ricercatori americani? Hanno fatto vedere le foto dei volti di meditatori – e non – a osservatori esterni, chiedendo loro di dare un giudizio. Come ti sembra questa persona? Che punteggio gli dài? Sono stati utilizzati degli item utilizzati in psicologia per valutare alcuni tratti della personalità. Tra cui due nuovi parametri: “mindful”, quanto una persona è consapevole di ciò che sta accadendo attorno a lei, ed “embodiment”, cioè quanto una persona si sente a suo agio nel proprio corpo (“comfortable in their our skin”). Per meditazione, in questo caso, intendiamo la mindfulness, vipassana, ereditata dal Buddha e sempre più conosciuta in Occidente grazie ai seminali lavori del biologo statunitense John Kabat-Zinn.

Che cosa pensano di noi dall’esterno?

Il risultato lascia pochi dubbi. Vedendo le fotografie, gli osservatori – che ovviamente non sapevano nulla dei soggetti di cui vedevano le foto – hanno espresso pareri univoci. I meditatori sembravano avere caratteristiche interpersonali più positive. Si ruota attorno a 3 parole chiave:

  • Conscientious: i “coscienziosi” hanno un senso di responsabilità morale che, nelle loro mansioni, li spinge ad essere più responsabili e attenti verso gli altri. Nell’accezione anglosassone, il termine “conscientious” si riferisce soprattutto all’atteggiamento in ambito lavorativo.
  • Neurotic: un tratto che, nell’indagine, viene percepito dagli osservatori come meno presente nel volto dei meditatori. Noi italiani potremmo tradurre il termine con “nevrotico”. Parola in disuso ma che sta tornando d’attualità. Indica una persona emozionalmente instabile, molto ansiosa. Secondo il dizionario Collins, il termine si riferisce a un soggetto sempre preoccupato o spaventato da cose che tu non consideri importanti.
  • Mindful: designa la consapevolezza. Il termine è entrato nell’uso comune negli ambiti universitari a seguito delle ricerche scientifiche sulla meditazione mindfulness, di derivazione buddhista. Significa che una persona è presente e consapevole in ogni momento della sua vita, senza atteggiamenti giudicanti: c’è, ci sta ascoltando davvero, e non vuole farci la predica. Nel buddhismo è una delle vie del Nobile ottuplice pensiero, rivelato da Siddharta Gautama nel suo primo discorso dopo il risveglio spirituale.

Grandi lavori in corso

E’ ormai stabilito che la meditazione mindfulness migliora il senso di benessere, lavora contro i disagi esistenziali, rende più attenti, meno ansiosi, più creativi e, attualmente, è materia di indagine in vari ambiti della medicina specialistica. Si vede anche un effetto sull’infiammazione e sulle strutture cerebrali come l’amigdala, un gruppo di cellule che controllano l’esperienza della paura. Ne sapremo di più fra qualche anno. Intanto, però, lo studio del Wisconsin ci dice una cosa molto semplice: la pratica meditativa traspare anche all’esterno, nelle relazioni interpersonali.

 

BIBLIOGRAFIA
Goldberg SB et al. PLoS One agosto 2019; 14:e0221782

Fabio Fioravanti

Fabio Fioravanti

Giornalista professionista, ha lavorato per Corriere Medico come responsabile dell’area scientifica. E’ tra i fondatori de L’altra medicina magazine di cui ha curato il coordinamento redazionale. Collabora con testate e agenzie dell’area salute e...

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