L’unico modo per vincere è la reciprocità, il senso di consapevolezza, di appartenenza, il sentire di essere parte di qualcosa di più grande di cui prendersi cura e che, a sua volta, può prendersi cura di noi. Iniziando con il chiedere scusa.

Purtroppo il nostro ottimismo è stato smentito: due settimane fa scrivevo su questo sito che non dovevamo cadere vittime di fake news di pandemie letali che ci imbrigliavano creando allarmi eccessivi. Eppure ieri, 11 marzo 2020, il l direttore generale dell’OMS, l’Organismo mondiale della sanità, Tedros Adhanom ha dichiarato lo stato di pandemia per coronavirus in tutto il mondo.
Attualmente, mentre scrivo, sono riscontrati più di 118.000 casi in 114 paesi, 4.291 persone hanno perso la vita e altre migliaia stanno lottando per la propria vita negli ospedali.

Sono due le indicazioni che guidano le nostre giornate: c’è chi sostiene che se la paura, la diffidenza e l’isolamento prendono il sopravvento indeboliscono inesorabilmente il sistema immunitario e quindi le difese del nostro organismo a contrastare l’eventuale contagio da Covid-19. Questa posizione sostiene che  evitando assembramenti e tenendo le debite distanze è utile stare nei parchi e vicino agli alberi alla luce naturale solare che è un farmaco potentissimo. E c’è invece chi vieta assolutamente qualsiasi uscita, famoso ormai #iorestoacasa, se non per comprovata necessita e con annessa autodichiarazione, per non sovraccaricare ulteriormente il sistema sanitario nazionale messo a dura prova dall’epidemia ormai da 3 settimane.

Ma nessuno, o troppo pochi, finora ci ha raccontato che ci potrebbe essere anche una terza via, quella mediana, quella ponderata e forse, quanto meno, la più equilibrata.

Non essendo né un medico, né una politica e non volendo/potendo dare giudizi sulle due suddette posizioni tra loro così diametralmente differenti e contrastanti, vorrei invece soffermarmi su una riflessione, raccontando le testimonianze di due filantropi indiani e di una psicologa italiana.

Il cosmo ha sempre il suo modo di riequilibrare le sue leggi, quando queste vengono stravolte. E proprio così sta avvenendo in queste settimane. La Natura è una grande sperimentatrice e sapete come attua i suoi esperimenti? Sostanzialmente, spiegano i filantropi indiani Preethaji e Krishnaji, eliminando le specie che non sostengono l’ecosistema. Questa sperimentazione avviene costantemente da milioni di anni. La natura ha eliminato i dinosauri, le tigri dai denti a sciabola e anche l’uomo di Neanderthal. A questo punto dovremmo porci una domanda molto pericolosa: quanto siamo sicuri del successo della nostra specie di razza umana? Siamo sicuri che sopravvivremo per sempre? Seguendo gli esempi della natura abbiamo capito che sopravvivere per sempre è un privilegio dato solo ad alcune specie che sono considerate dalla natura di beneficio al tutto. Domandiamoci: noi favoriamo il tutto? Probabilmente se dovessimo avere una conversazione con il pianeta Terra è quasi certo che la risposta alla domanda “Terra va tutto bene? “ sarebbe: “No, sono molto infelice perché gli umani non hanno ritegno nell’utilizzarmi ad ogni costo”.
E poi ancora, in una società fondata sulla produttività e sul consumo, spiega la psicologa Francesca Morelli, in cui tutti corriamo dietro a non si sa bene cosa, improvvisamente, da un momento all’altro, è arrivato lo stop. Fermi a casa, giorni e giorni. A fare i conti con un tempo di cui abbiamo perso il valore perché non è più misurabile in denaro o in successo.

Il virus ci manda un messaggio chiaro: l’unico modo per vincere è la consapevolezza, la reciprocità, il senso di appartenenza a una comunità, il sentire di essere parte di qualcosa di più grande di cui prendersi cura e che, a sua volta, può prendersi cura di noi. La consapevolezza personale, la responsabilità condivisa, il sentire che dalle nostre singole azioni dipendono le sorti non solo nostre, ma di tutti quelli che ci circondano, ci condurrà all’uscita del tunnel. Allora, se capiremo che tutti noi dipendiamo indissolubilmente gli uni dagli altri, se smettiamo di dare la caccia alle streghe e chiederci di chi sia la colpa, ma iniziamo a domandarci cosa possiamo imparare da questo, tutti noi avremo molto su cui riflettere ed impegnarci concretamente. Perché con il cosmo e le leggi della natura, evidentemente, siamo in debito spinto. Ce lo sta spiegando proprio Covid 19 a caro prezzo.

Allora, mentre riflettiamo, potremmo iniziare a cambiare una nostra semplice abitudine e far diventare nostro un particolare modo di salutare che non solo consente di rispettare le direttive ministeriali anti COVID 19, ma fa di più. Mi riferisco al saluto indiamo Namasté, le mani giunte al cuore piegando leggermente il capo, che è igienico, rispettoso ed aiuta ad equilibrare le nostre energie più intime. E’ infatti molto più che un semplice inchino a prova virus: la parola Namasté letteralmente significa “mi inchino a te” e deriva dal sanscrito, inoltre a questo termine è associata una valenza spirituale che si potrebbe tradurre con “saluto le qualità divine in te”, ma anche, e forse soprattutto, è un semplice gesto di umiltà e di richiesta di perdono. Al cosmo. Alla natura.

Per saperne di più sulle attività e sui discorsi pubblici due filantropi indiani: https://www.pkconsciousness.com/

 

Elena Carrera

Elena Carrera

Elena Carrera, pranic healer da 22 anni con Institute for Inner Studies Choa Kok Sui, opera nel mondo delle energie olistiche come shiatsuca e blogger. Dopo tre anni di studio e pratica ha conseguito l'attestato di qualificazione professionale di...

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